Ti è mai capitato di veder comparire un improvviso pop-up pubblicitario durante la lettura di un articolo molto interessante?
Fastidioso vero? Oltre che
interrompere il flusso della lettura ti invita a lasciare il tuo portale preferito e vuole forzatamente ed insistentemente indirizzarti verso una promozione interna di cui quasi sempre non ti interessa nulla.
Risultato? Nelle migliori delle ipotesi l’annuncio scompare e tu devi ricominciare da capo la tua lettura, nei casi più frequenti invece spesso l’invasivo pop-up ti ha irritato a tal punto che non solo spesso è di difficile rimozione ma ottiene il controproducente risultato di farti
abbandonare la pagina che tanto ti aveva incuriosito.
Per fortuna
l’editoria digitale sembra aver finalmente compreso quale sia la strada giusta per evitare sempre di più tutto questo: la soluzione è il
native advertising, messaggi pubblicitari coordinati ed in armonia con l’estetica del contenitore. Cordiali e poco invasivi, rispettosi del contesto e soprattutto coerenti per tematiche trattate: tutto questo grazie a sensate scelte editoriali ed algoritmi sempre più precisi.
Mostrandoci finalmente articoli pubblicitari in linea con l’argomento della nostra lettura ed invitandoci discretamente a saperne di più, questa scelta di marketing non solo è vincente, ma anche rispettosa del plausibile cliente.
I risultati sono di gran lunga superiori rispetto alle
call to action tradizionali: migliorando l’atteggiamento dell’utente nei confronti del messaggio pubblicitario, aumenta esponenzialmente il
CTR, ossia il numero di interazioni rapportato alle visualizzazioni.
Un recente studio ha dimostrato che tramite il native advertising anziché l’utilizzo invasivo dei classici banner l’utente medio interagisce con una
probabilità maggiore del 25% con l’inserzione e che soprattutto l’annuncio ottiene il
53% di engage (coinvolgimento) positivo.